Amministratore di sostegno infedele, sequestrati 620mila euro

Gdf, vittime 40 cagliaritani. Tra beni di lusso anche Rolex

Giugno 2, 2023

Doveva gestire i beni e il denaro di 40 persone visto che era stato nominato dal giudice come amministratore di sostegno, ma dal 2012 al 2020 ha pensato bene di appropriarsi illegalmente del loro denaro, intascandosi almeno 620mila euro.

Col denaro sottratto ha acquistato orologi di lusso come Rolex, borse, pellicce, abiti griffati e gioielli.

Lo hanno scoperto i militari della Guardia di finanza del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Cagliari, controllando le attività di un amministratore di sostegno, un avvocato 50enne cagliaritano. All'uomo, indagato per peculato e di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, sono stati sequestrati beni per 620mila euro.

Le indagini sono scattate dopo la segnalazione da parte dei familiari di una delle 40 vittime, tutte persone che abitano a Cagliari e nell'hinterland, che si erano accorte di strani ammanchi nei conti del proprio caro. I militari della sezione di Polizia giudiziaria e i colleghi del Nucleo di Polizia Economica e finanziaria hanno acquisito la documentazione bancaria sia delle vittime che dell'indagato, riscontrando "operazioni bancarie sospette sia con riferimento ai beneficiari, che si ripetevano continuamente - spiegano dalla Fiamme gialle - sia con riferimento alle causali che apparivano non attinenti alla gestione degli amministrati. Le stesse, grazie al riscontro effettuato sui singoli Iban di destinazione, hanno consentito di risalire agli effettivi beneficiari delle operazioni e quindi di tracciare l'effettiva destinazione delle somme di danaro in uscita dai conti degli amministrati".

L'amministratore di sostegno indagato effettuava quasi sempre pagamenti e operazioni tramite l'home banking, non sono però mancati i prelievi di contante effettuati senza giustificazione: "In tal modo, nel corso degli anni, l'indagato avrebbe utilizzato i depositi dei propri assistiti per alimentare due suoi conti correnti - spiegano dalla Guardia di finanza -, acquistare beni voluttuari di lusso, saldare prestazioni d'opera o acquistare beni relativi alla ristrutturazione del suo immobile, estinguere proprie posizioni debitorie, ricaricare una carta di credito utilizzata per le sue spese personali e saldare, attraverso pagamenti F24, tributi vari personali o riconducibili a suoi congiunti".

articolo tratto da: ansa.it

Viaggio nel museo laboratorio della mente

Allestito nell’ex Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà a Roma, racconta attraverso un percorso espositivo multimediale cos’erano nell’800-900 i manicomi. E perché alcune persone venivano rinchiuse

Giugno 2, 2023

Da diverso tempo il disagio mentale è tornato centrale nel dibattito pubblico (soprattutto a causa della pandemia, che ha avuto importanti ripercussioni sulla salute mentale). Era il 13 maggio 1978 quando la Legge Basaglia impose la chiusura di tutti i manicomi: “uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale”, spiegava nel 2003 l’Organizzazione mondiale della sanità.

Ma quanto ne sappiamo del disagio psichico? C’è un luogo a Roma che lo racconta e ci ricorda che “guarigione” significa spesso convivere con alcuni tipi di problemi. È il Museo Laboratorio della Mente, allestito negli spazi dell’ex Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà che con i suoi 120 ettari di verde, 41 edifici e 24 padiglioni di degenza fu uno dei più grandi d’Europa, chiuso nel 1999 e gestito dalla Asl 1 della Capitale.

Oggi parte della sua storia è raccolta nel padiglione 6 (provvisoriamente chiuso per ristrutturazione ma visitabile online) il cui percorso espositivo è stato curato da Studio Azzurro, gruppo di ricerca artistica milanese, che attraverso diversi tipi di linguaggi sensoriali e non mostra la vita all’interno del manicomio.

Un percorso immersivo e multimediale che coinvolge le persone che lo visitano, stimolandone la partecipazione attiva. Perché il Museo della Mente non vuole raccontare una storia, vuole farla rivivere.

Tra i diversi elementi del percorso c’è “Entrare fuori uscire dentro”: un muro che attraversa l’intero allestimento e che divide gli ambienti esterni da quelli interni come metafore di inclusione ed esclusione dalla vita sociale e pubblica.

Nell’ex Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà i pazienti venivano internati per categorie: il padiglione 18 accoglieva i criminali, il 14 gli agitati, il 22 i cronici, il 12 tutte le persone pericolose per tentativi di fuga e suicidio. Il più grande era il 22, chiamato il Bisonte, dove confluivano gli epilettici, i dementi senili e gli schizofrenici.

C’erano pazienti di tutte le età, anche bambini e bambine: alla fine dell’800, ne furono internati circa 300 sotto i 15 anni. Nelle cartelle cliniche rimaste, risulta che il motivo che giustificava l’internamento delle bambine era la deficienza etica e l’amoralità. In alcuni casi, poi, si faceva più esplicitamente riferimento all’impossibilità, per le famiglie povere, di tenerle a casa, specie se di carattere irrequieto.

Il manicomio divenne così una delle varie forme attraverso cui si esprimevano i rapporti di forza tra i generi all’interno delle reti sociali degli individui, in primis in quelle familiari. Lo dimostra anche l’internamento delle 300 donne tacciate di isteria: indemoniate, ninfomani, agitate. Così furono definite tutte quelle donne non conformi al ruolo imposto dalla società. Disadattate, quindi pazze, senza pudore e per questo destinate alla segregazione tra le mura del manicomio.

Visitare questo luogo vuol dire attraversare, passo dopo passo, le importanti innovazioni di carattere psichiatrico nella lotta contro lo stigma e i pregiudizi del disagio mentale che accomuna tutti. E questa fase storica ce lo dimostra.

articolo tratto da: lasvolta.it